La comunicazione, da almeno un ventennio, è argomento e tema di approfondimenti analitici e studi settoriali. Questo tangibile e ritrovato interesse non è certo dovuto all’avvento o alla scoperta della “comunicazione” intesa come materia di interazione sociale. Allora: che cosa è cambiato oggi?
Tutti sappiamo che gli esseri che popolano il nostro pianeta comunicano da sempre in vari modi, con molteplici strumenti e in svariate lingue. Ma quali nuove strutture di relazione sociale, anche in campo lavorativo, si sono via via consegnate alla nostra quotidianità? E di quali nuove esigenze relazionali esse sono portatrici? Proviamo a dare insieme, se possibile, una risposta a questi quesiti, non fosse altro per le ricadute che le suddette riflessioni hanno sul nostro agire professionale.
Oggi sempre più persone stanno acquisendo la consapevolezza di quanto sia particolarmente importante saper comunicare; di quanto, nostro malgrado, la forma stia prendendo sempre più il sopravvento a discapito della sostanza e infine di quanto sia importante, se non essenziale, saper costruire una squadra di lavoro unita, coesa e motivata: orientata, cioè, al raggiungimento di un comune obiettivo. Un primo assioma è, per esempio, quello per cui «al fine di ottenere una comunicazione di qualità è essenziale predisporsi alla proposizione di domande, molte domande»: le domande sono la chiave della conoscenza e conoscere fa la differenza tra noi e gli altri! Allora, con un semplice esercizio, valutiamo insieme alcune domande utili per testare il nostro livello di consapevolezza. Per esempio: in che momento comunichiamo? Che cosa vogliamo comunicare? E che cosa comunichiamo realmente? Come comunichiamo? Domande semplici, addirittura banali. Solo apparentemente però! Infatti, proviamo a chiederci: perché quando comunico con il mio staff sembra che non mi capiscano? Perché io e Tizio non ci capiamo? E perché quando parlo con Caio non riesco a capirlo? E così via, potremmo continuare in questo esercizio prendendo nota, su un foglio bianco, di tutte queste domande. Vedremo come questo banale esercizio si rivelerà molto prezioso. Dopo questa riflessione ci sarà più semplice comprendere, infatti, l’esigenza di approfondire il concetto di comunicazione iniziando ad analizzare e potenziare la propria. Ne è emersa, dunque, un'esigenza. Il fenomeno, che vede l’intensificarsi dei momenti formativi in ambito di comunicazione, nasce infatti dall’esigenza di evitare:
• di non avere il controllo del risultato della propria comunicazione;
• di creare fraintendimenti;
• di perdere il proprio tempo nella ripetitività dei concetti e dei dialoghi con il nostro staff di riferimento;
• la mancata acquisizione di un potenziale cliente semplicemente per non aver saputo valorizzare le nostre competenze;
• la mancata acquisizione di un potenziale cliente per non aver saputo cogliere le sue reali esigenze e i suoi valori di riferimento.
Molti altri, invece, hanno sviluppato l’esigenza di approfondire le tecniche di comunicazione per ottenere alcuni importanti risultati, come:
• migliorare il proprio modo di comunicare;
• acquisire maggiore consapevolezza delle proprie capacità e caratteristiche comunicative;
• ottenere una comunicazione immediata ed efficace;
• agevolare l’ottenimento dei propri obiettivi professionali creando uno staff di collaboratori all’altezza delle aspettative;
• imparare a gestire gli stati emozionali non utili, anzi dannosi: rabbia, stress, ansia;
• imparare a gestire al meglio i clienti senza rischiare mai di rappresentare per loro un problema, ma sempre una soluzione.
Sulla scorta della mia esperienza quindicinale nel settore, sostengo convintamente che conoscere e acquisire consapevolezza e comprensione delle tecniche di comunicazione equivalga, anche nella nostra professione, ad avere strumenti operativi in grado di affrontare efficacemente ogni tipo di concorrenza, con metodi più nobili che non la mortificante corsa al ribasso del costo del cedolino. Durante i miei corsi mi capita spesso di raccontare aneddoti interessanti che evidenziano la praticità e l’efficacia delle tecniche di comunicazione. Ricordo, per esempio, di quando, qualche anno fa, mi interpellò una signora proprietaria di una società di progettazione e creazione di software, perché era desiderosa di cambiare professionista di riferimento. Sicuramente ne fui felice; ma poi, forse per deformazione professionale, scattarono le “domande utili” e “l’ascolto attivo”, e iniziai a porle domande del tipo: «da quando vuole cambiare consulente?» la risposta fu secca: «da subito!». «E allora, – le chiesi ulteriormente, – come mai vuole cambiare consulente?» Mi rispose con un luogo comune: «Perché voglio abbassare i costi, devo risparmiare». Incuriosita, continuai il dialogo e le chiesi come fosse composto il suo staff. Mi spiegò che la sua organizzazione era composta da una serie di impiegati tecnici e due risorse amministrative. Proseguì sottolineando, anche con comunicazione non verbale, che comunque era lei a occuparsi in via esclusiva della gestione del personale e di tutto ciò che riguardava le retribuzioni dei suoi dipendenti e ribadì con enfasi (paraverbale) che per qualunque informazione o comunicazione l’unico riferimento era lei e solo lei. E a lei soltanto, non ad altri (i suoi dipendenti? Altri soci? Responsabili interni all’organizzazione?), avrei dovuto fare riferimento (sic et simpliciter!). Conclusi la mia circumnavigazione interlocutoria chiedendole se ritenesse i servizi della sua attuale consulente eccessivamente esosi e, con non troppa sorpresa da parte mia, mi rispose che in realtà non lo sapeva: non si era mai posta il problema, quindi non aveva mai avuto l’impulso, imprenditorialmente naturale, di una comparazione tra servizi e costi diversi. A questo punto, la mia raccolta dati poteva ritenersi terminata. L’analisi era compiuta. Conclusi, alla fine, dicendo che tra i valori di riferimento miei e del mio studio vi era la doverosa riservatezza e che non era nostra abitudine interloquire con i dipendenti o altri soggetti non autorizzati, fatte salve espresse esigenze e autorizzazioni da parte del datore di lavoro e/o del legale rappresentante dell’azienda. Non dovetti aggiungere altro. Subito dopo ci salutammo con l’espressa necessità condivisa di farle pervenire il contratto di affidamento d’incarico da sottoscrivere, senza neanche prendere in considerazione un eventuale preventivo. Cliente acquisito!
La domanda che ora rivolgo a me stessa per prima e ai colleghi lettori è: ma non cambiava il consulente per risparmiare? Vi posso garantire che non avrei mai acquisito quel cliente se mi fossi soffermata a inseguire quanto da lei acclarato con decisione quando esprimeva l’esigenza di risparmiare. La sua reale esigenza, concorderete, non era il contenimento dei costi: non era consapevole di quanto spendesse e perdipiù non aveva mai svolto una benché minima ricerca di mercato o comunque di comparazione tra studi diversi! Il suo problema era un altro: lei e solo lei era il dominus aziendale e tale doveva essere l’imperativo di qualsiasi suo consulente! È molto probabile che la molla, l’impulso verso il cambiamento, provenisse proprio da qualche precedente e insoddisfacente esperienza sull’argomento. Aveva, in realtà, il timore di perdere il controllo dei processi informativi della gestione del personale, che ai suoi occhi rappresentava lo stesso valore che ha il timone di una nave per il nocchiero.
A distanza di mesi, infatti, parlandone più apertamente, scoprii che il precedente studio aveva l’abitudine di rispondere, colloquiare e interloquire correntemente con le sue dipendenti, fornendo loro informazioni strettamente legate al rapporto di lavoro interagente, prestando in tal modo la propria consulenza più ai dipendenti che al datore di lavoro; la qual cosa suscitava logico e comprensibile disequilibrio nei ruoli e nelle gerarchie aziendali. Questo banale esempio di vita professionale vissuta, per quanto scarno e semplice, testimonia come l’analisi dei reali bisogni dei nostri clienti e dei valori di riferimento sia un passaggio fondamentale, sia per acquisire il cliente, sia per mantenere alto il livello di fidelizzazione.
Esorto chiunque di noi a valutare, con doverosa e necessaria obiettività, quanti colleghi siano effettivamente a conoscenza dei motivi e delle ragioni che hanno spinto i nostri attuali clienti a sceglierci come interlocutori professionali e di quali siano i loro reali bisogni e valori di riferimento. In concreto: che cosa è veramente importante per loro? Sono moltissime le informazioni importanti che ne scaturirebbero per gestire al meglio il nostro patrimonio più importante: i nostri clienti! Per non dire di quanto questo ulteriore patrimonio conoscitivo ci aiuterebbe a equilibrare meglio i pesi e le misure operative del nostro staff, attraverso una più mirata redistribuzione dei singoli compiti. Tutto ciò è possibile attraverso l’approfondimento delle “tecniche di comunicazione”. Per esempio: avete mai fatto caso che ad alcuni vostri clienti fa immensamente piacere ricevere le vostre circolari, mentre altri quasi reagiscono con fastidio e, se proprio c’è qualcosa di interessante, vi chiamano perchè voi gli raccontiate quello che sarebbe stato sufficiente leggere? Avete mai fatto caso che alcuni clienti ci interpellano con una ossessiva continuità settimanale (a volte non basta!), mentre di altri quasi non conosciamo il suono della voce e anzi, quando ricontattati, reagiscono con fastidio, quasi li disturbassimo? Bene: se non lo avete notato, potreste cominciare a porvi la necessaria attenzione. Se, invece, ne avete consapevolezza, allora mi chiedo: che cosa ne fate di queste importanti notizie? In quale spazio della nostra quotidianità releghiamo questa preziosa gemma informativa? Inoltre: vi siete mai soffermati a valutare le caratteristiche e le singole peculiarità dei vostri collaboratori? L’impiegata più brava è solitamente colei dotata di inappuntabile precisione e metodo. Opera con appunti chiari, puntuali, ordinati e va avanti come un treno; tranne, nel caso in cui intervenga un problema imprevisto, che non rientra in una procedura!! E lì, il panico! Apriti cielo! Una decisione? Giammai. Meglio sentire il capo (come non avessimo già abbastanza grane). Ci sono dipendenti, invece, meno ordinati, che non prendono appunti e il cui rischio di errore è certamente più alto, ma con un grande pregio: in presenza di un problema si dedicano totalmente alla sua soluzione. Bene, alla luce di questo scenario, in caso di assunzione, chi scegliamo? Quale profilo cerchiamo? Per quali compiti? Quale figura e per quale ruolo? Speriamo di essere fortunati?… Ahimè! Mi è capitato spesso dover sentire da colleghi la madre di tutte le convinzioni in materia di selezione : «con il personale ci va fortuna!». Certo, la fortuna aiuta; ma la competenza e la conoscenza fanno la differenza sull’ottenimento del risultato. Da sempre ci piace identificare la forza della nostra professione e della nostra capacità professionale con l’alto livello di competenza e conoscenza che ci caratterizza.
È per questo, in conclusione, che vorrei salutarvi con un'opinione, magari non condivisa, ma frutto di anni di lavoro combinato e che rimetto alla vostra valutazione. Incrementare le nostre conoscenze con strumenti di comunicazione anche di base, ma essenziali, corrobora il nostro sviluppo professionale e la nostra crescita personale e rappresenta una delle strade migliori per mantenere e acquisire quote di mercato, così come per ampliare il livello di fidelizzazione dei nostri clienti e del nostro team. Condividiamo la speranza di riempire i nostri fogli bianchi con molte domande utili: le risposte sono nella consapevolezza che abbiamo molti più strumenti di quanto molti di noi immaginino per affrontare i problemi, anche più spiccioli, presenti nella nostra quotidianità. E se queste poche righe vi hanno perlomeno fornito la consapevolezza che quegli strumenti sono a portata di mano e rappresentano una parte integrante e sostanziale delle nostre competenze, allora è coerente e corretto ritenere che siamo meglio proiettati verso un cambiamento più solido e meno asfittico della nostra professione.